L’Orta è stato un esempio evidente di come un lago può morire a causa degli scarichi di un’industria.
Lo studio di Rina Monti del 1930 rilevava che la fauna ittica, fino ad allora varia e abbondante, era quasi completamente scomparsa.
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Negli anni ’30 la concentrazione di rame, immessa nel lago a seguito dei processi industriali della Bemberg, era intorno ai 30 mg per metro cubo. Con l’aumento delle attività della fabbrica, la concentrazione di rame nel lago aumentò drasticamente, raggiungendo circa 110 mg per metro cubo alla fine degli anni ’50.
Dopo questo periodo la Bemberg intraprese un’attività di recupero del rame, in considerazione degli effetti inquinanti che erano stati riscontrati e dell’aumento di prezzo di questa materia prima. In vent’anni i valori di rame disciolto nell’acqua del lago si dimezzarono, pur rimanendo elevati.
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La Bemberg non scaricava solo rame nel lago: ogni anno immetteva circa 2.000 tonnellate di azoto in forma ammoniacale. Prima del 1926, anno in cui si insediò la Bemberg, l’azoto ammoniacale era quasi assente, dato che il lago era in ottime condizioni di salute. Le sue acque erano oligominerali e povere di bicarbonati, ma si arricchirono rapidamente di ammonio.
Dalla seconda metà degli anni ’50, il pH passò da 7, che è neutro, a 6,5, e poi scese drasticamente fino a raggiungere valori minimi di 4-4,5 negli anni ’60. Questi valori non erano limitati a una sola zona del lago: gli scarichi si trovavano a sud, dalla parte opposta all’emissario, così le acque acide e tossiche si diffondevano in tutto il lago, inquinandolo ovunque.
Le sostanze scaricate nel lago davano luogo a reazioni chimiche che provocarono una grave acidificazione delle acque. Il processo di ossidazione avveniva in due fasi, ciascuna gestita da un batterio diverso: nella prima fase, i batteri del genere Nitrosomonas ossidavano l’ammonio ad azoto nitroso (NO2-); nella seconda fase, i batteri del genere Nitrobacter ossidavano ulteriormente il nitroso a nitrato (NO3-). La prima di queste reazioni liberava ioni idrogeno (H+), due per ogni mole di ammonio trasformata in nitrato.
L’ossidazione dell’ammonio a nitrato da parte dei batteri generava acidità e consumava bicarbonato, riducendo la riserva di alcalinità del lago. La riserva alcalina, praticamente annullata, comportava la presenza di ioni idrogeno “liberi” e quindi l’acidificazione delle acque, con un pH tra 3,8 e 4,0 nel periodo 1980-1990.
L’Orta diventò un caso di studio per la comunità scientifica e molti studi furono pubblicati per descrivere il pesante inquinamento: era infatti il lago acido più grande del mondo. In particolare, la situazione fu studiata da Vittorio Tonolli e da Livia Pirocchi, entrambi direttori dell’Istituto Italiano di Idrobiologia, e dal famoso limnologo Richard Albert Vollenweider.
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Alle sostanze inquinanti immense nel lago della Bemberg si aggiungevano, oltre agli scarichi civili, anche i prodotti di scarto delle industrie del rubinetto, settore estremamente fiorente nella zona fin dai primi decenni del ‘900.
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Le aziende produttrici di rubinetti, impianti sanitari e utensili da cucina scaricavano nel lago grandissime quantità di rame, zinco, piombo, nichel e cromo. L’acidificazione del lago trasformava i metalli nella loro forma più tossica (forma ionica).
Le acque reflue provenienti dalle abitazioni, infine, per via della presenza di fosforo e azoto, ebbero un effetto fertilizzante sul fitoplancton (la componente vegetale del plancton) del lago alterando l’equilibrio delle varie specie e la distribuzione dell’ossigeno.