La nascita della limnologia in Sardegna
Il substrato culturale
Negli anni settanta, sulla scia del dibattito sul tema dell’eutrofizzazione delle acque, acceso dieci anni prima in ambito internazionale (e.g. Vollenweider 1969), la comunità scientifica nazionale faceva proprie le preoccupazioni per il crescere di questo fenomeno, che andava manifestandosi in maniera molto chiara sia nelle acque marine (Adriatico in particolare) sia in quelle dolci. Fenomeni quali lo sviluppo di dense fioriture algali, con il forte declino della trasparenza delle acque, lo sviluppo di miasmi dovuti alla produzione di acido solfidrico per la mancata ossigenazione delle acque profonde, in casi più estremi accompagnata da morie di pesci; il rilevamento di mucillagini in Adriatico, documentati con sempre maggiore frequenza in diversi siti del nostro paese, destavano infatti grande preoccupazione.
Le conoscenze prodotte attraverso indagini estensive condotte in Nord America erano state riassunte, tra le altre, nel testo “Eutrophication Causes, Consequences, Correctives” (The National Academies Press. Washington, DC), pubblicato nel 1969.
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Esso rappresentava una pietra miliare per lo studio e la comprensione del fenomeno dell’eutrofizzazione, indicando la via da seguire anche in vista del possibile recupero degli ambienti interessati da questo fenomeno. La conoscenza scientifica dell’eutrofizzazione aveva stimolato un grande sforzo di monitoraggio estensivo dei laghi del Nord America, esitando in una sintesi quantitativa basata su modelli matematico-statistici per la classificazione in senso trofico dei laghi. Questo lavoro era la base di ogni possibile strategia di rimedio delle condizioni nelle quali versavano le acque di mari, fiumi e laghi del Mondo e con esso, del nostro Paese.
Fu questo il substrato a partire dal quale presero vita alcune iniziative scientifiche di grande rilevanza nel nostro paese. Il CNR giocò un ruolo di fondamentale importanza, facendosi promotore, attraverso il Comitato di Biologia e Medicina, di un Progetto Finalizzato “Ambiente”, all’interno del quale trovarono posto tutta una serie di sotto-progetti volti ad individuare le principali tematiche scientifiche necessarie per la studio e la caratterizzazione del nostro territorio. A rileggere anche solamente l’indice delle tematiche elencate nei volumi che il CNR produsse a conclusione dei lavori delle commissioni ad hoc istituite si rimane ancor oggi colpiti dalla loro lungimiranza e attualità.
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Il Progetto di monitoraggio del Lago Maggiore
Il deterioramento della qualità delle acque dei laghi profondi subalpini, ed in particolar modo del Lugano e del Maggiore, insistenti in acque italiane e svizzere, portò alla nascita, su iniziativa della Commissione Internazionale per la Protezione delle Acque Italo-Svizzere (CIPAIS), di programmi di monitoraggio per lo studio delle condizioni delle loro acque. E’ grazie a tale iniziativa che il Lago Maggiore, secondo per dimensioni e profondità tra i laghi italiani, rappresenta uno degli esempi più significativi della valenza degli studi a lungo termine. La serie di dati sulle principali variabili ambientali necessarie per tracciare la sua evoluzione, infatti, si sviluppa senza soluzione di continuità fino al presente, lungo un arco di tempo di oltre quarant’anni. La programmazione di questo monitoraggio ambientale pianificato e finanziato dalla CIPAIS era il frutto della lungimiranza scientifica della direttrice dell’Istituto Italiano di Idrobiologia, la Professoressa Livia Pirocchi Tonolli. Grazie al background scientifico della Tonolli, il programma, fin dalle sue origini, non si limitò ad includere alcune variabili necessarie per la caratterizzazione in senso trofico del lago ma fu progettato in modo tale da rappresentare ogni possibile elemento in grado di caratterizzarne l’evoluzione ambientale. Un esempio che ha pochi eguali in ambito nazionale ed internazionale. Laddove in generale ci si limitava allo studio dello specchio lacustre, il monitoraggio di questi ambienti prevedeva anche la caratterizzazione dei tributari. Laddove ci si limitava allo studio del fitoplancton e della fauna ittica, si prevedeva in essi anche lo studio della componente zooplanctonica, con un dettaglio tale da permettere di considerarne e tracciarne l’evoluzione fine delle sue diverse componenti. Lo studio del lago non si limitava alla superficie (come oggigiorno si tende a fare negli studi estensivi, ignorando l’importanza dei profili verticali come elemento di fondamentale importanza per lo sviluppo stagionale delle componenti biologiche) ma si investigavano anche le acque profonde, e l’evoluzione delle variabili fisiche e chimiche nell’intera colonna d’acqua, nella consapevolezza che quella fosse la base sulla quale si innesta lo sviluppo nel tempo e nello spazio delle comunità biologiche in essa insediate.
Tale approccio ecologico, ecosistemico, al monitoraggio del Lago Maggiore è certamente il risultato della forma mentis che permeava Livia Tonolli e l’ambiente scientifico che ella aveva frequentato nel corso della sua formazione e della successiva direzione dell’Istituto Italiano di idrobiologia (I.I.I.); una forma mentis che Livia portò in dote quando, durante la sua direzione, l’Istituto entrò a far parte del CNR.
L’ingresso dell’Istituto Italiano di Idrobiologia nel CNR
Livia Tonolli traghettò l’I.I.I. nel CNR con una precisa missione, quella di rappresentare una visione ecologica delle acque e di promuovere la ricerca in campo limnologico con quell’approccio internazionale che era stato alla base della fondazione dell’Istituto, nel 1938.
Esisteva già, nel CNR, un “Istituto di Ricerca sulle Acque” (IRSA), diretto dal Professor Roberto Passino. Dunque era già, da anni presente sul territorio nazionale un istituto, con base a Roma, e diramazioni in diverse zone della penisola, deputato al monitoraggio delle acque. L’approccio era, tuttavia, differente, principalmente basato sullo studio dei parametri chimici e dedicato alla quantificazione di eventuali inquinanti, ivi inclusi quelli organici. Non meno importante erano anche gli studi sugli impianti di depurazione. Con la pubblicazione dei “Quaderni”, l’IRSA documentava lo stato di salute delle acque attraverso alcune variabili individuate come significative per tracciarne le caratteristiche di base.
L’approccio che l’I.I.I. apportava allo studio dei laghi era frutto della storia scientifica di questo istituto, della fitta trama di relazioni internazionali, dell’appartenenza ad una sorta di intellighenzia che in diversi contesti si adoperava per elaborare e caratterizzare i concetti basilari dell’ecologia. Livia Tonolli si era nutrita del clima internazionale che permeava l’Istituto negli anni in cui arrivavano a Pallanza studiosi da tutto il mondo, perché lì trovavano quel clima che rendeva fruttuoso il loro lavoro. Gli Edmondson (Tommy e Yvette, che Livia chiamava, sottolineandone la sintonia, TommYvette), R. Margalef, R. A. Vollenweider, C. R. Goldman e H.L. Golterman, M. Nakanishi, G.E. Hutchinson, M. S. Adams e molti altri. Ma anche, A. Buzzati Traverso, Luigi Luca Cavalli Sforza (questi ultimi accolti da Livia che aveva preso la reggenza dell’istituto quando Baldi era stato richiamato al fronte, e riparati all’istituto di Pallanza per sfuggire alle persecuzioni dei nazifascisti, non volendo sottoscrivere il manifesto della razza).
Divenuta direttrice alla morte del marito Vittorio, Livia Pirocchi Tonolli seppe continuare la tradizione dell’Istituto quale centro di aggregazione di studiosi limnologi da tutto il mondo, e nel contempo, centro di supporto e accoglienza per studiosi di Paesi in via di sviluppo e/o poco aperti al mondo della ricerca occidentale.
La promozione di un gruppo di ricerca limnologica in Sardegna
Livia seppe anche promuovere iniziative coraggiose, non scontate, anche quando poco comprese o viste con sufficienza dai suoi stessi collaboratori dell’Istituto. Una di queste iniziative fu l’organizzazione, presso l’Università degli studi di Sassari del “Convegno sull’eutrofizzazione dei bacini artificiali” (1977), nell’ambito del Progetto Finalizzato “Promozione della Qualità dell’ambiente” del CNR.
Livia Tonolli era professoressa di idrobiologia e piscicoltura a Milano; in quell’università aveva studiato ed era stata, lei come pure Edgardo Baldi, allieva di Rina Monti. La sua maestra aveva studiato a Pavia, ove aveva frequentato il gruppo di ricerca diretto da Camillo Golgi. A Pavia era venuta a contatto con gli studi sulla fauna lacustre cui si dedicava uno dei suoi professori, Pietro Pavesi, entrato in contatto fra gli altri, con Marco De Marchi (proprietario dell’omonima villa sede dell’Istituto), appassionato cultore dello studio di flora e fauna lacustri a Pallanza. Rina Monti, dopo alcuni tentativi, aveva ottenuto la cattedra universitaria proprio a Sassari, prima donna del Regno d’Italia a ricevere tale incarico. Le ragioni della mancata nomina presso altre università per le quali aveva concorso sono state ampiamente dibattute e sembra che sia stata la sua ferma fede Haeckeliana (riassunta nel motto “L’ontogenesi ricapitola la filogenesi”), ai tempi osteggiata dall’establishment universitario, a determinarla. Rigettata pare sia l’ipotesi di una presunta forma di discriminazione di genere, anche in quanto la Monti fu ben accolta e inserita nel cenacolo Golgiano.
Giunta in Sardegna, la Monti aveva condotto studi su pozze temporanee, descrivendone flora e fauna. A lei, l’Università di Sassari, in anni recenti ha deciso di dedicare una targa, in ricordo della sua figura di prima donna cattedratica del Regno d’Italia e di studiosa dei laghi. L’approccio della Monti, oggi ritenuta personaggio di spicco e fondatrice della limnologia dei laghi alpini, era ancora molto legato alla tradizione faunistica e floristica e i suoi lavori, condotti a seguito del trasferimento all’Università di Milano, sono un punto di riferimento importante per lo studio di questi ambienti e delle loro condizioni originarie. Tuttavia, un accenno ad un approccio moderno, quasi di tipo ecosistemico, si ritrova nel suo studio sul Lago d’Orta, nel quale la Monti formula un’ipotesi molto chiara e interessante sulle cause della progressiva morte degli organismi lacustri a seguito del pesante inquinamento da rame cui il lago era sottoposto.
I bacini artificiali erano e sono la fonte primaria di acqua dolce in Sardegna: erano stati costruiti per sbarramento dei principali corsi d’acqua per garantire all’isola il necessario approvvigionamento di acqua, anche e soprattutto per il consumo umano. Una risorsa preziosa, in un’isola nella quale il clima mediterraneo confinava alla sola stagione invernale il necessario approvvigionamento di questo bene primario. Circondata dal mare, l’Isola sperimentava lunghi periodi di assenza di pioggia e penuria di acqua dolce e il prelievo dai bacini in stagioni aride determinava forti fluttuazioni del livello e con esse, problemi di qualità oltre che di quantità, di acqua dolce. Di questi problemi Livia Tonolli aveva consapevolezza, e riteneva necessario che nascesse in loco un gruppo capace di studiare questi ambienti con tutti i più moderni e scientificamente avanzati sistemi allora a disposizione. Così, la scelta di organizzare il Convegno fu anche l’occasione per portare sull’Isola tutti i più grandi nomi della ricerca internazionale. Varcarono il mare per giungere sull’isola studiosi del calibro di R. Margalef e di R. Vollenweider. Fu in quell’occasione che i pionieri della limnologia dei bacini artificiali della Sardegna ebbero modo di presentare i risultati dei loro primi studi, e di confrontarsi con gli altri partecipanti, scambiando opinioni e rendendo partecipi i congressisti delle problematiche peculiari di questi ambienti. L’IRSA si occupava già dei bacini artificiali del sud Italia e della Sicilia. Tonolli volle che la Sardegna fosse legata al suo Istituto. Forse anche in quanto, nel frattempo, a Sassari erano divenuti cattedratici due ricercatori di Pallanza, Alfredo Carollo prima e Luigi Barbanti poi. Barbanti in particolare, occupandosi dei fenomeni del mescolamento delle acque e della termica lacustre, possedeva il know-how per poter studiare gli aspetti legati al prelievo e al ricambio delle acque, cruciali per i bacini artificiali e la loro dinamica temporale. Forse furono entrambe le cose, da un lato la familiarità della Monti con Sassari e dall’altro la presenza di un ramo della ricerca di Pallanza presso la medesima università, a guidare Livia Tonolli nella scelta di fondare un gruppo di limnologia nella stessa. Certo è che l’esordio fu grandioso, efficace, di altissimo profilo, come era nello stile di questa direttrice. A dirigere il gruppo di ricerca nelle indagini, era un giovane ricercatore che a Pallanza si era formato: Nicola Sechi.
Professore Ordinario, già capo dipartimento e oggi professore a contratto, Nicola Sechi ha accettato di raccontare la nascita e gli sviluppi del gruppo di ricerca limnologica in Sardegna, rispondendo ad alcune domande.
Quando e come conobbe l’Istituto di Pallanza? Che ruolo ebbe la direttrice dell’Istituto nella sua presa in consegna del gruppo di limnologia in Sardegna?
“Nel 1974. Tutto ebbe inizio con l’arrivo a Sassari di Luigi Barbanti, professore incaricato del corso di geografia. Arrivato in Sardegna, Barbanti notò la presenza nell’isola di numerosi laghi artificiali e, avendo in mente di trovare un tema di ricerca che potesse rappresentare un’emanazione di quanto portava avanti a Pallanza, manifestò l’idea di avviare indagini sui bacini lacustri artificiali alla Professoressa Tonolli (da qui in avanti anche “Signora Tonolli”, l’appellativo da lei stessa preferito). Barbanti era in ottimi rapporti con l’Istituto di Botanica dell’Università di Sassari ed i professori che ivi insegnavano: Mario Dolcher, che ne era il direttore, Bruno Corrias, che aveva un ruolo di primaria importanza nella gestione dell’Istituto e della parte finanziaria dello stesso, Franca Valsecchi, professoressa associata con la quale io collaboravo. Fu Luigi Barbanti a lanciare l’idea di avviare indagini sui bacini artificiali della Sardegna, con quell’approccio ecologico che caratterizzava gli studi in essere all’Istituto di Pallanza. A quei tempi l’ecologia era praticamente sconosciuta nell’ambiente accademico italiano: il primo corso di ecologia, infatti, comparve nelle università italiane nel 1978. A Sassari nel 1979. In quegli anni Livia Tonolli teneva a Milano un corso di idrobiologia e piscicoltura, nel quale dava un’impronta ecologica, sebbene il suo non fosse ufficialmente un corso di ecologia. Naturalmente, la nascita di un settore d’indagine dedicato ai laghi all’interno di un istituto di botanica richiedeva l’individuazione di una figura che potesse portare avanti questo nuovo settore. Io mi ero laureato nel 1973 e avevo iniziato a lavorare con Franca Valsecchi. Fu allora che mi proposero di occuparmi dei laghi artificiali, e per fare ciò dovevo andare a Pallanza“.
Chi, nello specifico, promosse la sua formazione prima, e la successiva presa in carico del gruppo di ricerca limnologica?
“All’Istituto di Pallanza conobbi la professoressa Tonolli; io non sapevo chi fosse. Livia Tonolli mi disse che avrei dovuto lavorare con la Sig.ra Ines Origgi, tecnica incaricata di analizzare i campioni di fito- e zooplancton, e che avrei frequentato i vari laboratori, dei quali mi nominò i responsabili: Carlo Saraceni, Delio Ruggiu, Alcide Calderoni”.
Quali figure incontrate all’Istituto di Pallanza lasciarono un segno nella sua crescita personale e scientifica?
“Entrai subito in sintonia con Carlo Saraceni, una persona splendida. Delio era più riservato e con lui affrontavo le grandi questioni aperte del momento, anche in quanto lui aveva iniziato ad occuparsi di fitoplancton e produzione primaria. Per me era fondamentale acquisire le tecniche di analisi chimiche delle acque, perché al mio rientro in Università avrei dovuto metter in piedi un laboratorio di idrochimica per poter avviare le indagini sulle principali caratteristiche degli invasi sardi. Fu così che conobbi Alcide Calderoni, responsabile del settore, e il suo studente neolaureato, Rosario Mosello. In laboratorio di idrochimica lavoravano due tecnici molto esperti e capaci, Bruno Menzaghi, Gabriele Tartari e suo fratello Gianni, quest’ultimo studente presso la facoltà di Chimica dell’Università di Milano. Conobbi anche Masami Nakanishi, ospite in Istituto. Con lui appresi le tecniche di analisi della produzione primaria e il lavoro sul campo; da lui imparai il rigore analitico.
A giorni alterni la professoressa Tonolli mi chiamava nel suo studio per sentire il resoconto del mio apprendistato.
In uno di questi incontri io manifestai i miei dubbi riguardo alla determinazione tassonomica del fitoplancton; provenendo dal mondo della botanica, mi era familiare l’uso delle chiavi dicotomiche. In Istituto si usava la guida tedesca di Huber Pestalozzi, basata su ambienti differenti rispetto a quelli di aree mediterranee. Tonolli ben comprendeva questa problematica e mi aiutò a recuperare il materiale necessario per la classificazione del fitoplancton dei bacini artificiali della Sardegna.
Trascorso quasi un anno di apprendistato a Pallanza, la Tonolli mi disse che dovevo rientrare in Sardegna.
Fu lei a reperire i fondi per avviare la prima indagine sui bacini artificiali, ed in particolar modo sul Lago Omodeo. In quel periodo In Italia, per classificare i laghi e le loro caratteristiche trofiche si utilizzava il modello OCDE, basato sui lavori di Vollenweider. La modellistica era stata applicata al Lago Maggiore e ai laghi profondi subalpini. L’intento era di estendere questo approccio a tutti i laghi italiani. La Tonolli aveva consapevolezza del grandissimo valore dei laghi artificiali, anche in quanto nel mondo la gente non beveva l’acqua dei laghi naturali ma quella dei bacini artificiali. Quindi riteneva opportuno e necessario che si studiasse il lago artificiale più importante cella Sardegna, vale a dire il Lago Omodeo”.
Con le vostre indagini riusciste a dare una prima classificazione dei corpi d’acqua lacustri in Sardegna: furono i risultati conformi alla aspettative vostre e della direttrice?
“La Sardegna era stata scelta per questi studi anche in quanto vi era l’idea che fosse un’isola immacolata, priva di inquinanti, con un territorio ricco di foreste. Vero era che in essa vi fossero molti ovini, ma l’ipotesi di base era che fosse caratterizzata da ambienti incontaminati. La Signora, come la Tonolli veniva chiamata (ndr), vedendo i risultati dello studio sull’Omodeo che lei aveva provveduto a far finanziare – fosforo a 100 mg/L, bloom algali spaventosi, si domandò se non fosse, quello dell’Omodeo, una sorta di caso estremo, dovuto alla scelta casuale. A quel punto, poiché stava decollando il Programma del CNR “Promozione della qualità dell’ambiente”, la Tonolli decise che fosse necessario estendere le analisi a tutti i bacini artificiali della Sardegna. Attraverso una survey su 25 laghi, con prelievi inizialmente due volte l’anno, alla circolazione e alla stratificazione termica, e successivamente stagionali, quattro volte l’anno. Fummo supportati dai fondi del Progetto Finalizzato del CNR “Promozione della qualità dell’ambiente”.